lunedì 15 luglio 2013

Un Congresso per cambiare, ripartire, vincere!


Contributo al dibattito congressuale del Segretario del Pdci di Bologna, Francesco Maringiò.



1. Abbiamo intitolato il documento per il 7mo Congresso del Partito: “Ricostruire il Partito Comunista, Unire la sinistra, attuare il programma della Costituzione” perché riteniamo che la centralità della nostra proposta politica si dipani lungo questi tre vettori strategici di iniziativa politica e di lotta su cui chiediamo a tutti i militanti del Partito di esprimersi. Dirò la mia su questi (ed altri) punti, partendo proprio dal terzo, ossia dalla centralità della battaglia per la difesa della Costituzione e, soprattutto, per la sua piena attuazione.
L’interesse mostrato negli scorsi giorni dalla Fiat e dalla famiglia Agnelli per il controllo del Corriere della Sera non nasce solo dalla volontà di accrescere il proprio peso nel quotidiano più antico e prestigioso del Paese, ma mette in luce l’affermazione di un preciso modello. Attorno al patto di sindacato che regge il Corriere si determina e si manifesta da sempre l’equilibrio politico del capitalismo italiano e pertanto l’accresciuto protagonismo della famiglia Agnelli per i nuovi assetti, rende evidente la volontà di affermazione di quel modello già ampiamente attuato nelle fabbriche. Il filo nero che lega Pomigliano a via Soferino nasce dall’esigenza di un pezzo del capitalismo europeo, di cui la Fiat si fa interprete in Italia, di rompere non solo con le conquiste sociali degli anni Settanta che avevano portato allo Statuto dei Lavoratori, ma con il grande compromesso nato all’indomani della fine della Seconda Guerra mondiale, quando l’Europa sconfisse il fascismo ed il nazismo. Le Costituzioni, con il loro portato di valori e modelli di società solidali e progressisti, diventano oggi un impedimento ad un capitalismo miope e violento, convinto di reggere la sfida del mercato internazionale sulla riduzione di salari e diritti. Questo atteggiamento della Fiat non è un caso isolato, tutt’altro. Poche settimane fa è stato pubblicato un documento della JP Morgan, la più grande banca d’affari assieme alla più famosa Goldman Sachs, che esplicita la tesi di cui la Fiat si fa interprete, secondo la quale il buon funzionamento dell’economia non è lo strumento per migliorare il benessere collettivo di una società, ma un totem da perseguire a qualunque costo, anche a rischio di attaccare le fondamenta di uno Stato democratico. Questa la ricetta sciorinata: 1) fine del modello istituzionale basato sul bilanciamento dei poteri; 2) modelli istituzionali basati su “governi forti”; 3) fine del modello sociale che prevede un sistema di protezioni del lavoro ed infine – cito quasi alla lettera – 4) farla finita con queste costituzioni antifasciste che riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra nel dopoguerra e che risentono di una impostazione “socialisteggiante”. La cosa, grave in sé, è ancora più inquietante se viene letta come tappa di un ventennio e più di controffensiva padronale (una vera e propria lotta di classe dall’alto) che ha portato, dopo la sconfitta dell’Urss e lo scioglimento del PCI, ad un arretramento pesantissimo su diversi fronti.
Si è iniziato abolendo il sistema elettorale proporzionale (previsto in Costituzione perché unico modello effettivamente democratico: una testa un voto) come volano per affondare i grandi partiti di massa che, attraverso la dialettica democratica nelle istituzioni, garantivano la partecipazione popolare alla politica ed alle scelte fondamentali per il Paese. Sul piano economico si è passati a distruggere un altro principio cardine della nostra carta costituzionale, che non a caso definisce e norma il ruolo dello Stato in economia, assegnando al primo funzione di indirizzo nell’interesse della collettività e grandi poteri (oggi quasi del tutto scomparsi) di controllo. Per portare a compimento questo disegno si è messo fine alle PP.SS ed all’intervento pubblico nel Mezzogiorno. Non contenti, si è privatizzato tutto il sistema bancario e le grandi aziende di Stato (nei fatti sono rimaste solo Eni e Finmeccanica) così che oggi alla politica non resta alcuna leva per intervenire in economia e prendere delle decisioni.
Pertanto la difesa della Costituzione e la mobilitazione per la sua attuazione diventa una battaglia strategica. Non semplicemente difensiva (come qualcuno potrebbe pensare) ed in grado di incontrare il consenso di grandi masse per poter vincere. È successo con il referendum per l’acqua pubblica due anni fa e recentemente con il referendum bolognese sulla scuola pubblica. Per questo riteniamo che il tema meriti attenzione e dedizione particolare da parte di tutti i nostri militanti, sapendo che attorno a questa battaglia i comunisti possono costruire alleanze in grado di mobilitare larghe fasce della popolazione, resistere al violento attacco padronale e vincere.
2. Il documento congressuale, varato dal Comitato Centrale, compie uno sforzo di analisi e proposta politica che credo meriti l’attenzione di tutti noi. La natura straordinaria del Congresso ci chiede di concentrarci su alcuni temi specifici, sui quali riteniamo essenziale un aggiornamento di linea. Per queste ragioni il documento dedica ampio spazio all’analisi dell’ulteriore involuzione dell’Unione Europea, alla società italiana, alla questione sociale ed al tema del sindacato: è su questo terreno che dobbiamo concentrare le nostre forze.
Avendo fatto parte della Commissione Politica credo sia interessante mettere in evidenza due aspetti. Innanzitutto va detto che la Commissione si è esercitata in un lavoro realmente collettivo e partecipato. In poche settimane, attraverso una permanente consultazione in rete e circolare, ciascuno ha potuto produrre emendamenti, correzioni, proposte e modifiche alle varie stesure del testo. È un fatto, questo, di cui essere fieri: in una società organizzata attraverso partiti a trazione leaderistica e personale, i comunisti si esercitano in discussioni collettive e partecipate. È la forza del centralismo democratico a permettere ad un nucleo rivoluzionario una discussione profonda ed articolata e la costruzione di una sintesi che non è semplicemente la mediazione tra posizioni diverse, ma l’equilibrio più avanzato che unisce il partito e lo attrezza alla battaglia nella società. Questo aspetto (non è l’unico) costituisce la nostra alterità nel panorama politico italiano e ci consente di affrontare al meglio il lavoro difficile e di lunga lena che abbiamo davanti.
La seconda considerazione riguarda gli emendamenti al testo nazionale, che personalmente non ho né sottoscritto né votato in sede di congresso territoriale ma che credo rappresentino un arricchimento della discussione, così come pure i contributi che arriveranno dai congressi territoriali. Non ho votato questi emendamenti perché in alcuni casi (emendamenti ai paragrafi 24 e 30) non esprimevano –questo almeno il mio parere- realmente una linea alternativa rispetto a quella presentata dal testo del documento. Semmai si rimarca lo stesso concetto con un linguaggio più netto e duro il che, se in alcuni casi può aiutare una maggiore comprensione e chiarimento, altre volte tradisce l’esigenza ad un approccio problematico alle questioni. Un documento congressuale, sforzandosi di descrivere fenomeni sociali complessi, deve necessariamente sapersi approcciare alle questioni controverse con spirito problematico, al fine di non confondere la discussione con la propaganda. Nel caso dell’emendamento 1bis, invece, l’ho ritenuto profondamente sbagliato, a partire dal linguaggio usato. Una critica severa al nostro operato è necessaria. Ma essa è a più riprese contenuta nel testo del documento e, a differenza di quanto accaduto in altri partiti della sinistra, il nostro gruppo dirigente ha indetto subito un congresso straordinario, presentandosi dimissionario. La migliore autocritica non è la declamazione degli errori compiuti, quanto la messa in campo di pratiche e scelte politiche in netta discontinuità con gli errori fin qui commessi. Infine, è stato presentato l’emendamento 26bis, il cui paragrafo conclusivo mi convince molto: «Il fatto che la questione di genere sia ancora vissuta dai più, nel nostro stesso partito, o come questione marginale che interessa solo le donne, o come questione di categoria o di soggetto debole da tutelare, o come argomento trito e noioso, ci porta a dire che esiste ancor oggi, nel PdCI come nell’intera società, una “questione maschile” più che una questione femminile e la scarsa partecipazione di donne alla vita del partito è un problema del partito, non delle donne». Proprio per queste ragioni, ritengo che il tema vada affrontato promuovendo quante più compagne capaci alla direzione politica del partito e luoghi di confronto e dibattito plurali (con la presenza di compagne e compagni) e non solo attraverso l’assemblea di genere.
3. Quando i Comunisti Italiani si approcciano al tema dell’unità della sinistra, hanno sempre presente che essa non parte dalle, pur necessarie, convergenze elettorali. Quel che manca nel Paese è una sinistra sociale e politica unita che lavori per superare quanto il capitale ha frantumato ed indebolito. Prima di tutto, quindi, viene la lotta sociale, il radicamento del partito nei luoghi di studio e di lavoro, la presenza dei comunisti nelle assemblee elettive degli studenti e dei lavoratori e solo dopo vengono le alleanze elettorali che, a quel punto, possono anche –se mi si permette l’espressione- essere spregiudicate e piegate alla necessità di superare gli sbarramenti elettorali, nati per escludere il dissenso dalle istituzioni. Ed il documento congressuale, giustamente, dedica grande attenzione al tema del lavoro, del sindacato e dei compiti che hanno i comunisti in questo ambito. Lo scioglimento del PCI non ci ha soltanto lasciati “orfani” del Partito, obbligandoci ad una lenta e difficile fase di ricostruzione (che oggi continua), ma ha privato i comunisti di una egemonia nel maggiore sindacato del Paese che non a caso, proprio in quegli anni, sceglieva la concertazione (e non il conflitto) come nuova pratica. E così in questi anni i lavoratori comunisti hanno aderito a diverse organizzazioni sindacali vivendo la propria militanza sindacale spesso come principale e totalizzante. Ci siamo così trovati tante volte – in maniera del tutto legittima e comprensibile, ma sicuramente difficile da gestire - all’incomunicabilità tra compagni della stressa struttura di Partito, perché aderenti a sindacati (o correnti sindacali) diverse; in questo, la divisione stessa delle organizzazioni dei lavoratori non ha aiutato. L’investimento che facciamo per il futuro è quello di coordinare i compagni iscritti alle diverse organizzazioni in maniera permanente. Sarà un lavoro difficile e lungo, ma assolutamente indispensabile e necessario, a cui daremo impulso con l’Assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori.
È solo con questo approccio che riusciremo a porre le basi per una unità con gli altri soggetti che lottano contro il neoliberismo e la guerra. Senza questo background, la tanto declamata unità della sinistra (il “frente amplio” in salsa italiana, come proposto da tanti), rischia di essere un progetto di corto respiro e, se va bene, solo elettoralistico. Ma l’esperienza ci ha dimostrato che esperimenti di questo tipo sono destinati al fallimento.
La strategicità del tema della lotta sociale e dell’importanza che essa gioca sulla capacità dei comunisti di contare nella società, diventa lampante volgendo lo sguardo a quanto accade in Europa. Anche solo prendendo in esame i risultati elettorali, in tutta Europa si osserva come ci sia – e sia decisamente in aumento – uno spazio per la così detta sinistra d’alternativa. È successo ovunque ed i sondaggi recenti testimoniano questo trend. Avviene dappertutto, tranne che in Italia. Come mai? La risposta, purtroppo, sta proprio nella alterità del contesto italiano, unico caso dell’Europa occidentale dove, a fronte delle stesse politiche di austerity, non si è prodotto un adeguato conflitto sociale. Mentre in Grecia, Portogallo, Spagna e Francia abbiamo assistito a poderosi scioperi generali e mobilitazioni di massa, in Italia la lotta ha stentato a partire. E tutte le esperienze che hanno tentato di svolgere un ruolo in questa direzione (come la Fiom o i sindacati di base), sono stati in qualche modo isolati. In questo, la responsabilità della Cgil è enorme. Ma guai a noi a trarre la conclusione che il lavoro nei confronti di questa organizzazione sia inutile: piaccia o meno, questa confederazione (pur con questa certo non brillante classe dirigente) organizza la maggioranza dei lavoratori italiani ed è forse l’unica forza ancora in grado di organizzare una protesta capace di bloccare il Paese. Inoltre la Cgil è attraversata da una dialettica molto forte ed è nostro compito denunciare i sui limiti e le sue responsabilità, ma guai a noi se ci isolassimo dai suoi lavoratori. Nella Cgil si sta aprendo una delicatissima fase congressuale: i comunisti nella Cgil devono saper fare una intelligente battaglia che punti a cambiare il corso delle cose, legandosi alla maggioranza dei lavoratori che aspira ad avere la Cgil al proprio fianco nella lotta di tutti i giorni e contro le politiche della troika e del governo. A questa esigenza, i comunisti debbono saper dare una risposta, lavorando anche affinché i momenti di lotta nel Paese vedano l’unità tra i lavoratori della Cgil e quelli dei sindacati di base.
4. Infine credo che questo nostro congresso serva per avviare un dibattito profondo sulla nostra organizzazione. Siamo un partito ferito dalle sconfitte (sociali ed elettorali in primis), che subisce una ingiusta ed asfissiante censura da parte di tutti i mezzi di comunicazione e che può contare solo sulle poche risorse finanziarie che provengono dal tesseramento e dalle attività di autofinanziamento. Eppure, nonostante questo, decidiamo di andare avanti e continuare la lotta. Per farla al meglio, abbiamo la necessità di ripensare profondamente il nostro lavoro e la militanza, sapendo che nulla sarà più come prima.
Credo che il primo vero compito del nuovo gruppo dirigente sia quello di avviare una lavoro certosino di cura, rafforzamento e ricostruzione (ove si rendesse necessario) della nostra rete di capitani, ossia i segretari di federazione e regionali. La cura in questo lavoro dovrà assorbire la gran parte delle energie del gruppo dirigente centrale, che dovrà porsi il problema di nutrire con idee, passione ed indicazioni di lavoro e di lotta i nostri compagni impegnati nel lavoro di costruzione territoriale del partito, della sua presenza nella società e nelle lotte.
Credo che dovremmo abituarci a lavorare, nel prossimo periodo, scegliendo di concentrare le nostre forze in pochi ma qualificati settori di intervento. Potrebbe essere utile che ogni federazione individui nel proprio territorio il tema, la scuola o la fabbrica su cui investire prioritariamente le energie. Individuare cioè, quello che un tempo si sarebbe chiamato l’anello in grado di “tirare tutta la catena”. Qual è quell’istituto scolastico che, spesso, si caratterizza per organizzare lotte e mobilitazioni studentesche? O quella fabbrica che ha un alto tasso di sindacalizzazione? Questo lavoro di inchiesta ci permette di concentrare in questi posti la nostra azione ed il nostro lavoro, in modo da poter svolgere un ruolo attivo nelle realtà di lotta d’avanguardia e non disperdere le nostre forze in mille rivoli.
La censura che viviamo non può per noi essere il pretesto per sottovalutare l’importanza del lavoro nella comunicazione. Molto spesso a livello locale gli spazi per una visibilità del partito su Tv, radio e giornali locali, indipendenti e non, esistono. Sta a noi saper lavorare, costruendo rapporti con le redazioni locali e curando sempre la comunicazione di tutte le nostre iniziative. Come pure non deve essere sottovalutato l’apporto che ciascun singolo militante può svolgere, diffondendo le posizioni del partito su mailing list, social media,…
Un altro aspetto, fin’ora sottovalutato ma che assume una grande importanza, è quello dell’autofinanziamento. Dobbiamo rendere permanente il metodo del tesseramento per quote mensili, in modo da aumentare la quota media di ciascun militante. Ovviamente l’autofinanziamento non deve diventare una tassa permanente su ogni iscritto, ma una metodologia di lavoro che abitui ciascuno a ricercare modalità di finanziamento e sottoscrizioni per il partito. La pratica delle costruzioni di feste e cene locali e permanenti, oltre ad una modalità di autofinanziamento, sono un modo per rafforzare e rinsaldare lo spirito solidario della nostra comunità politica e diventare sempre più strumenti di lavoro nella società. Ovviamente l’obiettivo dovrebbe essere la costruzione di strutture permanenti di autofinanziamento, attraverso attività economiche, per esempio gestendo strutture Arci, case del popolo o circoli operai, che ancora sono rimasti nel nostro Paese e che molto spesso vivono difficoltà di gestione.
Infine, ma non per esaurire i temi di discussione prioritari, credo che dobbiamo lavorare affinché nel prossimo Comitato Centrale si presti grande importanza alla sua composizione, privilegiando l’introduzione di quadri in produzione, giovani e donne espressione di significative esperienze di lotta. Il CC non andrà solo riunito spesso (come abbiamo già fatto dall’ultimo Congresso), ma andrà curata la formazione dei quadri e la sua organizzazione in aree di lavoro permanenti, in modo da rafforzare la direzione collegiale del Partito.
Il prossimo sarà un Congresso straordinario in tutti i sensi, non solo nei tempi di convocazione. Abbiamo una grande responsabilità: lavoriamo tutte e tutti affinché sia un Congresso per cambiare, ripartire e vincere!
Buon congresso a tutti noi!
Francesco Maringiò 

 

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